STREET ART come cultura urbana

di Christian Gangitano

Negli ultimi anni ci siamo abituati a osservare nelle nostre città il fenomeno di molte strade che mutano il proprio aspetto, con una vivace esibizione di opere d’arte en plein air sulle imponenti facciate cieche dei palazzi, su vertiginose infrastrutture o sotto tetri sottopassaggi periferici, o addirittura sugli anonimi blocchi in cemento armato dei cavalcavia. È la diffusione, ormai generalizzata, della street art o, come la chiamano attualmente gli addetti ai lavori, urban art. Si tratta di interventi, nelle metropoli così come nei piccoli centri, che producono un tipo di arte effimera, pubblica e accessibile a tutti, in perpetua evoluzione perché perfettamente allineata ai mutamenti urbanistici, socio-demografici e culturali in atto. 

La street art attinge spesso all’arte figurativa (con rare eccezioni, come per il duo tarantino-romano Sten & Lex, autori di eccellenti murales astratti), servendosi di immagini provenienti dalla cultura pop del fumetto, del cinema o della letteratura. Ed ecco che giganteggiano sui muri icone e personaggi noti, oltre che immagini nate nelle controculture e nell’underground e poi divenute mainstream. 

In questo contesto di arte spontanea, nata “dal basso”, con molteplici fonti di ispirazione e in evoluzione continua, diventa problematico classificare le diverse forme espressive. Siamo di fronte a una forma d’arte contemporanea permeata da una dimensione pubblica, che sa valorizzare le caratteristiche e le criticità del territorio. 

I generi riconducibili alla urban art o street art sono diversi: i murales o wall painting, gli sticker (adesivi autoprodotti), i plotter (poster dipinti a mano o touché e attaccati sui muri), gli stencil (decorazioni realizzate con lo spray e con le “mascherine” o sagome ritagliate in studio), e infine installazioni e applicazioni che cambiano aspetto all’arredo urbano o a elementi tecnici come tubi, cabine elettriche e semaforiche. 

Ma quando è nata la street art?

Possiamo individuare una proto-street art durante la preistoria con le incisioni rupestri o petroglifi. Già nel Rinascimento i muri attiravano l’attenzione di grandi maestri. Questa innovazione che consentiva una nuova fruizione pubblica dell’arte fu notata e apprezzata da importanti esponenti quali Leonardo e Piero di Cosimo. L’attenzione per i muri è proseguita poi con gli artisti del primo Novecento, tra i quali Paul Klee e le prime foto di arte urbana dell’ungherese Brassai.

In epoca recente si sviluppa il cosiddetto “muralismo”, movimento diffusosi in Messico, Argentina, Perù, Brasile e poi negli Stati Uniti già dagli anni Trenta e dalle opere di Diego Rivera. Dalla fine degli anni Settanta in Italia questa corrente si intreccia al malcontento sociale, come a Orgosolo in Sardegna, tra le prime gallerie open air di arte murale nazionale insieme al “paese museo” di San Sperate e di Satriano in Basilicata. 

L’inizio di una sinergia con l’arte contemporanea avviene nella prima metà degli anni Ottanta, quando Jean Dubuffet (precursore delle idee del graffitismo già negli anni Quaranta con la serie di litografie Les Murs) comprende l’importante valore del fenomeno.  Le opere dell’ultima produzione mostrano come Dubuffet, animato da uno spirito sempre giovane e attento a ogni nuova manifestazione artistica, abbia saputo comprendere e rielaborare il fenomeno del graffitismo metropolitano.

Autori di un graffitismo urbano di protesta ma comunque legato alla società dei consumi, i “writers” e gli street artist riescono a trasformare e evolvere una pratica “selvaggia”, di controllo del territorio e spesso malvista, in un raffinato e innovativo codice estetico, capace di conquistare pubblico e critica. Comincia il percorso verso il riconoscimento dei graffitisti storici e degli street artist newyorkesi come Jean Michel Basquiat, Keith Haring, Kenny Scharf, James Brown, Donald Baechler e Futura 2000, artisti che, attraverso il loro lavoro, hanno trasformato la percezione dello spazio urbano. 

Ma è solo a partire dal nuovo millennio, (le prime mostre e happening di street art in Italia, con baricentro tra Milano, Bologna e Roma risalgono al 1998-1999) che il termine street art inizia a indicare un movimento culturale globale.

Dai primi anni Duemila, in alcune delle più importanti metropoli del mondo, aumentano in modo esponenziale le forme di espressione creativa in strada. Così, quando il termine fa la sua prima massiccia apparizione su giornali, web e televisioni e si diffonde nei primi social network, intorno al 2005, il movimento inizia a scoprirsi sempre più come fenomeno anche mediatico, con l’affermazione in anni recenti di vere e proprie celebrità a livello internazionale come Obey, Space Invaders, The London Police, Os Gemeos e, per citare alcuni italiani, Blu, Jorit e Maupal.

Il successo planetario di Banksy, al quale i mass media e il mercato dell’arte riconoscono di avere concepito una nuova arte-cult, ha cannibalizzato – con la sua condizione di anonimato – lo sfruttamento commerciale della street art, oggi sempre più labile nella sua definizione. Per quanto resti un linguaggio dai potenti tratti, la sua carica sovversiva e innovativa si sta smorzando.

Tuttavia, proprio la street art, nell’attuale crisi economica e valoriale, può diventare un’occasione unica di rinnovamento e sviluppo culturale, che andrebbe sostenuto dalle pubbliche amministrazioni e da partner privati. In passato la street art era erroneamente considerata solo come una forma di protesta o, ancor peggio, mero imbrattamento illegale.

L’arte urbana invece adesso entra nei musei, nelle importanti collezioni d’arte, nel circuito mainstream della moda e dello spettacolo. Queste forme d’arte sono finalmente riconosciute come un linguaggio, con una forte e qualificante identità culturale, di pubblica utilità per lo sviluppo sociale ed estetico dei territori urbani, che raccontano storie di successo e di valore.

Per poter comunicare efficacemente con il mondo giovanile, oggi questa nuova forma d’arte utilizza soprattutto i social media come strumento di divulgazione. In questo modo riesce a legarsi a realtà quali gli skater, la disciplina del parkour, la bicicletta spericolata BMX, la breakdance, oltre a numerosi brand di abbigliamento cosiddetto “streetwear”, e senza dubbio la musica rap e trap.

La street art – nelle sue svariate forme di creatività multidisciplinare – si rivela quindi adatta a stimolare una grande attenzione e partecipazione attiva, a diffondersi a una vastissima ed eterogenea platea.   

Tratto dalla prefazione del libro “Le strade parlano, una storia d’Italia scritta sui muri”

Edizioni Rizzoli , novembre 2019